Il teatro dell’interfaccia organico

Nell’evoluzione della specie la tecnologia svolge la funzione di aiutare l’uomo nella relazione con il mondo esterno. Gli arnesi, le armi, le macchine, le penne, anche i libri, diventano così estensioni, protesi, potenziamenti del fare umano, pratico o cognitivo che sia. Una concezione che nell’era industriale e meccanica ha trovato il suo massimo sviluppo.

Con l’avvento dell’elettronica è iniziato però a cambiare qualcosa, sensibilmente.

La forza meccanica si sta infatti relativizzando e le tecnologie digitali iniziano ad aprire nuovi orizzonti di funzionalità: le applicazioni virtuali e telematiche mettono in essere proprietà che ,attraverso la modellizzazione tridimensionale e l’interattività, ci permettono di agire e fare limitando l’uso la forza.

 

Dalla forza alla forma

 

Questa trasformazione di procedure che si sta delineando passo passo potrebbe essere definita “dalla forza alla forma”, per usare un’affermazione di Elemire Zolla in una particolare intervista (1).

Dalla forza meccanica alla forma digitale della simulazione virtuale, quindi.

Il fatto stesso di rendere possibile un’azione in un ambiente remoto ci pone di fronte ad un paradosso che riconfigura il nostro rapporto con lo spazio-tempo. Dire che il virtuale mette in campo un nuovo paradigma cognitivo significa appunto questo. Saltano, o perlomeno vengono considerate più relative, le coordinate spaziotemporali in cui ci collochiamo per dare luogo ad ulteriori corsi d’esperienza che vanno oltre i sistemi interpretativi dati.

Il concetto stesso di rappresentazione viene messo in discussione dato che una navigazione immersiva in uno scenario di realtà virtuale comporta un superamento della visione nel produrre un’illusione cognitiva tale da farci “abitare” quell’ambiente.

Derrick De Kerckove, nel suo fondamentale “Brainframes”(2), parla di tendenziale sostituzione dell’idea di “punto di vista” con quella di “punto di vita”: non siamo più solo spettatori delle rappresentazioni del mondo, come il teorema della Prospettiva del Rinascimento eurocentrico ci ha viziato a credere, ma componenti fisiologiche di un ambiente che solo ora si è disposti a comprendere in tutta la sua complessità. Attraverso il feedback proprio della multimedialità interattiva, e del virtuale, agiamo nello spazio artificiale, a tutti gli effetti . E’ chiaro ormai stabilire che è possibile estendere oltre la soglia della realtà materiale il nostro punto di presenza nella dimensione immateriale dell’elettronica. Un fatto che trova i suoi sviluppi interessanti nelle procedure più avanzate di condivisione a distanza. Le interfacce ,sempre più amichevoli, agevolano la relazione che ancora, ma per poco si suppone , viene definita “uomo-macchina”. Si , perchè le macchine informatiche, i computers, i sistemi digitali, diventano infatti sempre meno “cose”, oggettualità composte di atomi, per acquisire attraverso la miniaturizzazione dei processori e la connessione in rete la nuova natura di trama di bit.

E il nostro corpo sta iniziando a familiarizzare con queste nuove entità. In un progressivo, se non esponenziale, avvicinamento. Un incontro sempre più ravvicinato, se non simbiotico. Si pensi ai progetti di “vita artificiale” e alle “reti neurali”. Aspetti radicali ma comunque inscritti in uno spostamento progressivo delle sensibilità.

Segnali di una mutazione culturale e antropologica che corrisponde ad un’espansione della coscienza evolutiva.

Ma una cosa sia chiara: il nodo da sciogliere è più psicologico che tecnologico.

 

L’autore collettivo

 

Per rendere comprensibili le possibilità di questa evoluzione digitale in corso è forse opportuno fare qualche esempio. Si pensi che la stessa Internet, assunta finalmente a “luogo comune” (come il telefono), è per qualche verso comparabile ad una “rete neurale” . La sua struttura reticolare, frattale, si richiama esplicitamente alla struttura sinaptica dei neuroni che popolano il nostro cervello. E così se si vuole cercare qualche semplice esempio di “vita artificiale” si può esaminare la dinamica di qualche virus informatico, valutando che sono in atto ricerche applicative per utilizzare questi virus come “knowbot” (robot di conoscenza: agenti intelligenti) nelle reti per fare le nostre veci, e magari risolverci qualche automatismo di troppo nelle estenuanti navigazioni di ricerca.

Il rapporto tra corpo e sistemi digitali è così sempre meno metaforico, meno astratto e più complementare. Da anni si parla di “umanizzare le tecnologie”, di “surriscaldare il medium” (McLuhan), ora quelle buone intenzioni sono valori assodati, grazie alle intefacce grafiche più immediate, compatibili ai nostri schemi percettivi. La mediazione informatica si sta assotigliando e trova una sua funzione determinante nella complementarietà con altre competenze, attraverso la nuova configurazione dell’autore collettivo multimediale (3). Presa per l’altro verso la questione è più scabrosa: non si tratta di tecnologizzare l’umano ma di perdere non poche di quelle scorie umaniste che si interpongono nel nostro rapporto con i computers. Si tratta infatti di rompere quella cornice mentale (“brainframe”) entro cui si è stabilizzata la nostra sfera cognitiva sotto l’influenza delle precedenti tecnologie. Così come è accaduto con l’avvento del Libro, e ancor prima con l’invenzione alfabetica, e poi con la Televisione, i sistemi digitali cambieranno, lo stanno già facendo, il nostro modo di pensare e agire nel mondo.

 

L’interfaccia organico

 

Agire nel mondo comporterà sempre più risoluzioni di carattere multimediale e telematico. Di conseguenza il concetto stesso di azione, come abbiamo già accennato, cambierà di senso.

L’azione è la misura per collocarci in uno spazio e un tempo.

E’ un’affermazione inequivocabile fin quando non cambia la nostra concezione di spazio e tempo. Ed è proprio di cui stiamo trattando.

A questo punto può essere indicativo riflettere su ciò che da sempre pone in essere l’idea dell’azione come misura dell’azione nello spazio e nel tempo. Il Teatro.

Ben più di un linguaggio, o un’arte, il Teatro, “campo magnetico di tutte le arti” (Kandinski), formalizza quel principio e crea simulazione fisica di uno spazio psicologico. Traduce in azione il pensiero di uno spazio-tempo.

Il corpo diventa così, utilizzando un termine che farà inorridire molti umanisti, un interfaccia organico tra spazio mentale e spazio fisico.

Ma è così, come è giusto considerare il Teatro in quanto Tecnologia di Rappresentazione. Anche se è qualcosa in più: attiva condivisione. E’, per eccellenza, atto di comunicazione.

Ricollegando gli elementi, possiamo ribadire che le nuove tecnologie digitali attraverso la modellizzazione tridimensionale creano una simulazione dello spazio fisico. Le Realtà Virtuali hanno infatti superato un’ulteriore soglia percettiva ed epistemologica: è possibile fare esperienza all’interno di quegli spazi simulati. Andando ben oltre la visione.

È possibile tradurre in azione il pensiero di uno spazio. Come a teatro. Ma con qualcosa in più , non in meno ,come in molti tendono a pensare. Perchè va detto, una volte per tutte, proprio per non perdere più tempo in chiacchiere inutili: la virtualità non sottrae realtà bensì l’aumenta, produce opportunità ulteriori.

Nell’azione in uno scenario virtuale il corpo misura altri spazi-tempo. Riconfigura la propria fisicità in contesti fisici differenti da quelli stabiliti dal principio di realtà ordinaria. Si tratta di altro, anzi di ulteriore. E’ un errore andare a cercare in questa “zona limite” ciò che già esprime il Teatro, e molto meglio. E’ bensi importante che alcune domande originariamente rivolte al Teatro possano trovare oggi, e domani, delle risposte dalle tecnologie interattive (4).

Un’azione nel ciberspazio produce comunicazione, perchè concede e attrae condivisione.

L’interattività propria dei sistemi digitali rilancia infatti il principio attivo della teatralità: quello della percezione condivisa. La discriminante con le altre forme di riproducibilità audiovisuale di un’azione (cinema, televisione, video) è qui .

Negata dai media tradizionali ( se non, anche se in termini vaghi, per l’uso del telefono sia in radio che in televisione) l’interattività rilancia oggi le potenzialità estreme della vitalità organica della comunicazione. Ridefinendo il ruolo del nostro interfaccia-corpo.

Alcune esperienze applicative nel campo delle terapie riabilitative hanno prodotto risultati emblematici anche se di carattere puramente sperimentale.

Il concetto di teatro dell’esperienza adottato in alcune pratiche terapeutiche per il “neglect” da ischemia ad esempio ha messo in luce la possibilità di intervenire su dei limiti fisiologici producendo illusioni cognitive attraverso la simulazione di un’azione in un ambiente virtuale. Si tratta dell’atto di rimozione di un limite provocato da un deficit neuromotorio (5).

E’ quindi, come abbiamo già detto, il superamento di una soglia: si va oltre la visione per fare esperienza nella visione stessa.

Si va oltre l’interpretazione per fare azione.

Per altri versi è stato il dato cardine del migliore teatro di ricerca (6), che già negli sessanta rigettò le tare del “dramma borghese”. Si pensi ad esempio alle “liturgie” di Jerzi Grotowski (mimetizzato poi “al di qua” del Teatro, alla Ricerca delle Fonti, le sorgenti dell’espressione rituale) o alla “visionarietà senza tempo” di Bob Wilson. Esempi forse opposti di un teatro in grado di produrre alterazione della coscienza percettiva, invitando ad agire nella visione, un dato che riguarda sia l’attore che lo spettatore , disancorati da qualsiasi rassicurazione narrativa.

Ma c’è il dovere di ricollegare le fila del discorso.

Se la peculiarità del Virtuale risiede in un cortocircuito sensoriale per cui la vitalità organica dell’esperienza opera all’interno del massimo grado di artificialità, come cercare, se non per opposizione, un rapporto con il Teatro?

Certo, se il Teatro nasce come simulazione fisica di uno stato mentale , il Virtuale può ben essere concepito come il suo speculare sviluppo, rendendo possibile la simulazione mentale di uno spazio fisico.

La misura concreta dell’azione e quella astratta della visione si coniugano in ambedue le condizioni. E’ qui il dato sostanziale.

Era forse questo il sogno che il vecchio surrealista Aragon vide inverato sulla scena da Bob Wilson vent’anni fa al Festival di Nancy. Chissà cosa avrebbe provato con un sistema di realtà virtuale.

La fisicità del nostro corpo-interfaccia interviene quindi come costante nella riconfigurazione della fenomenologia percettiva provocata dal Virtuale. E’ forse possibile andare ora ad individuare quelle esperienze che stanno creando dei precedenti indicativi in tal senso. Sono in parte citate nei rimandi “sinaptici” (chiamatole anche note a margine, se volete) in cui il testo si ramifica per dare informazioni più puntuali, come in un ipertesto appunto. Una in particolare merita un riferimento particolare ed è quella di Marcel.lì Antunez Roca, già fondatore de La Fura dels Baus, che con “Epizoo” ha messo in scena l’ultimo stadio del paradosso dell’attore, immolato sull’altare del gioco di massacro “uomo-macchina”. Cliccando sull’interfaccia grafica che rappresenta il suo corpo è possibile far reagire ,in tempo reale, le singole parti toccate virtualmente dal mouse. L’azione del performer verrà prodotta dalla simulazione operata dallo spettatore in azione. Un fatto limite. Di cui è necessario prendere atto al di là di qualsiasi riflessione epistemologica ulteriore.

Noi ne prendiamo atto e ci possiamo quindi concedere una citazione che ha accompagnato, prima come un presagio e poi come una clamorosa conferma, questi ultimi dieci anni di ricognizione teorica attraverso gli “Scenari dell’Immateriale” (7), in un nomadismo critico che può essere inscritto in quella psicogeografia inventata a suo tempo dal Movimento Situazionista.

“Bisogna forgiare la nostra immaginazione, le nostre facoltà percettive, fino all’idea di un’intensità che invece di posarsi su un corpo produttore lo determini.” (J.F.Lyotard)

1. Si tratta di una videointervista realizzata per un evento dal titolo “Il rito della visione” presentata a Narni nell’ottobre 1992 da Scenari dell’Immateriale in collaborazione con Tradimenti Incidentali. Parte dell’Intervista è stata pubblicata su VIRTUAL n. 2, ottobre 1993.

2. “Brainframe” di Derrick De Kerckove (Edizioni Baskerville,1993) è uno dei migliori strumenti teorici a disposizione. Molte delle sue intuizioni hanno contagiato il testo qui esposto.

3. Il concetto di “autore collettivo” per quanto riguarda la creazione multimediale e virtuale è stato al centro di un inteso dibattito che si è sviluppato a Milano (gennaio 1993) intorno ad un documento dal titolo “Per una nuova cartografia del reale”. La riflessione continua all’interno del gruppo di studio AGAVE (Atelier Gluck Archivio Virtuale degli Eventi) che nell’ottobre 1994 ha promosso la convention “Millennium. I linguaggi della mutazione” e si presenta sull’ “home page” HTTP://WWW.IOL.IT/AGAVE/AGAVEHP:HTM.

4. In questo campo, limitandoci alle esperienza italiane, va citata in primo luogo Pigreco, e in particolare Mario Canali per quanto riguarda l’aspetto immersivo di “realtà virtuale d”autore” realizzata con lo scenario “Satori”. Importantissimo è poi collocare il ruolo di Studio Azzurro in un panorama che dalla pura videocreazione si è estesa alla performance teatrale (con Giorgio Barberio Corsetti prima, e autonomamente poi con varie altre collaborazioni, tra cui Moni Ovadia) fino alle più recenti installazioni interattive presentate alla Triennale di Milano. Stefano Roveda va poi individuato come un cibernauta solitario che con Pigreco ha dato vita ad “Euclide”, il primo personaggio sintetico realizzato in Italia, animato da un performer affinato all’interattività (da sempre, viene da dire), Giacomo Verde. Importanti poi figure come Massimo “Contrasto” Cittadini, Tommaso Tozzi e i Giovanotti Mondani Meccanici, tra i primi a mettere in scena l’elettronica come nuovo elemento di performatività.

5. Tra le varie tecnologie rivolte alle applicazioni per deficit neuromotori c’è da individuare il “Glad in art” messa a punto dal laboratorio Artslab diretto da Massimo Bergamasco, ingegnere della Scuola Superiore S.Anna di Pisa. Il progetto , che consiste in un’estensione dell’interfaccia a tutto l’avambraccio, ha la caratteristica di comprendere il feedback, il ritorno di forza, un aspetto determinante per individuare le condizioni propriocettive, i sensi interni dell’organo.

6. Il Teatro di Ricerca ha espresso per tanti anni gli spostamenti progressivi della sperimentazione artistica, in Italia in particolare.

Nella postavanguardia sono state espresse le esperienze più radicali, secondo un principio analitico-concettuale che segnò tutta una fase di cui furono protagonisti i Magazzini Criminali, Simone Carella-Beat 72, la Gaia Scienza, Taroni Cividin, Falso Movimento. L’avanguardia è di fatto superata , giustamente. Non poteva essere altrimenti. Ma il problema sorge quando di quelle istanze ,in cui furono anticipate molte delle sinestesie percettive che sono oggi alla base delle performance interattive, si può solo rilevare una rimozione.

In questo senso il riallestimento di “Tempo Reale” di Roberto Lucca Taroni , sotto forma di installazione di “teatro della memoria”, in occasione del Festival del Nuovo Teatro a Ivrea (settembre 1994), è stato indicativo della necessità di ricostruire un background nel rapporto tra scena e nuove tecnologie .

7. Con il titolo “Scenari dell’Immateriale” fu rilanciato nel 1987 il Festival di Narni che dalla rassegna di opere prime teatrali e di videoteatro si trasformò in progetto di nuova spettacolarità video e multimediale. Un progetto che opera tuttoggi a Torino, insieme al marchio Cyberia. Tra le produzioni recenti può essere segnalata quella di, “Percorsi Cifrati”, un CD-Rom sulla “Memoria dell’Avanguardia” e più specificamente su La Gaia Scienza-Compagnia Solari /Vanzi.

 

Carlo Infante

Per “ARSLAB 95: I Sensi del Virtuale” catalogo dell’omonima mostra giugno 1995

Tratto da: idra