Il manifesto di Ivrea

La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica. In una situazione di progressiva involuzione, estesa a molti settori chiave della vita nazionale, in questi anni si è assistito all’inaridimento della vita teatrale, resa ancora più grave e subdola dall’attuale stato di apparente floridezza. Appartenenza pericolosa in quanto nasconde l’invecchiamento e il mancato adeguamento delle strutture; la crescente ingerenza della burocrazia politica e amministrativa nei teatri pubblici; il monopolio dei gruppi di potere; la sordità di fronte al più significativo repertorio internazionale; la complice disattenzione nella quale sono state spente le iniziative sperimentali a cui si è tentato di dare vita nel corso di questi anni. Come conseguenza le realtà italiane e i mutamenti intervenuti nella nostra società così come le nuove tecniche drammatiche e i modi espressivi elaborati in altri paesi non hanno trovato che isolati e sporadici riferimenti nella nostra produzione teatrale. Sono mancati d’altra parte il ricambio e l’aggiornamento delle tecniche di recitazione, l’analisi e l’applicazione di rinnovati materiali di linguaggio mentre lo stesso innegabile affinamento della regia ha finito per risolversi in un estenuato perfezionismo di sterile applicazione, contro ogni possibilità di rinnovamento dei quadri. La critica drammatica istituzionale, dal suo canto, invece di svolgere una funzione di provocazione e di stimolo su questa situazione generale, ha contribuito al mantenimento dello stato di fatto e si è troppo facilmente allineata alle posizioni ufficiali, ancorando linguaggio e metodi a modalità ormai superate con una rinuncia di fatto al suo compito primo di ricerca e di interpretazione. Con poche consapevoli eccezioni il nostro teatro, oltre a dimostrarsi incapace di svolgere un discorso proprio, si è così venuto a trovare in una posizione di completo isolamento, sistematicamente impermeabile cioè ad ogni innovazione culturale, alle ricerche e agli esiti della scrittura poetica e del romanzo, alla sperimentazione cinematografica, ai discorsi aperti dalla nuova musica e dalle molteplici esperienze pittoriche e plastiche. La nostra attività di scrittori, critici, registi, scenografi, musicisti, attori, tecnici del teatro, anche se di diverse ideologie, attestati su differenti posizioni di lavoro, ci fa sentire estranei ai modi, alle mentalità e alle esperienze del teatro cosiddetto ufficiale e alla politica ufficiale nei riguardi del teatro. Per la diversità dei metodi e dell’ispirazione che improntano l’attività in cui siamo impegnati, noi non ci poniamo come gruppo almeno nel senso in cui questa parola ha caratterizzato passate esperienze nella vita letteraria e teatrale. Al di sopra di ogni diversità pensiamo però di poter individuare una sufficiente forza di coesione nel trovarci comunque di fronte a problemi di lavoro fondamentalmente analoghi. L’attività finora svolta da ciascuno di noi può costituire perciò la basa di un comune senso di lavoro che si proponga come fine di suscitare, raccogliere, valorizzare, difendere nuove forze e tendenze del teatro, in un continuo rapporto di scambio con tutte le altre manifestazioni artistiche, sulla linea delle esigenze delle nuove generazioni teatrali. Non crediamo infatti utile né necessario partire da zero, convinti come siamo che sia possibile essere tanto più precisi quanto più si è coscienti delle esperienze che sono già state iniziate e portate avanti da noi altrove. Oggi si impone la necessità di adeguare gli strumenti critici agli elementi tecnico formali dello spettacolo, di affrontare l’impegno drammaturgico senza alcuna soggezione agli schemi prestabiliti, con un recupero di tecniche e una proposta di altre tecniche con l’uso di attori fuori della linea accademica e quotidiana, con la scelta di ambientazioni che ricreino lo spazio scenico. Non c’è nuova strada nel teatro come in ogni altra attività della scienza e dell’arte che non implichi di necessità estesi margini di errore. Noi li rivendichiamo. Non vogliamo dar vita a un teatro clandestino per pochi iniziati, né rimanere esclusi dalle possibilità offerte dalle organizzazioni di pubblico alle quali riteniamo di avere diritto; rifiutiamo però un’attività ufficialmente definita come sperimentale, ma costretta ad allinearsi alle posizioni dominanti. Il teatro deve poter arrivare alla contestazione assoluta e totale. Di tutto questo e dei problemi connessi all’aspetto organizzativo, è nostra intenzione discutere in un convegno di apertura e di verifica che indiciamo per la fine della presente stagione teatrale e al quale invitiamo tutti quanti, in base alle esperienze raggiunte, si sentano di condividere con noi gli obiettivi contro cui operare e questo appello di urgente lavoro. Non crediamo infatti alle contestazioni puramente grammaticali. Crediamo invece che ci si possa servire del teatro per insinuare dubbi, per rompere delle prospettive, per togliere delle maschere, mettere in moto qualche pensiero. Crediamo in un teatro pieno di interrogativi, di dimostrazioni giuste o sbagliate, di gesti contemporanei.

Firmato: Corrado Augias Giuseppe Bartolucci Marco Bellocchio Carmelo Bene Cathy Berberian Sylvano Bussotti Antonio Calenda Virginio Gazzolo Ettore Capriolo Liliana Cavani Leo De Berardinis Massimo De Vita Nuccio Ambrosino Edoardo Fadini Roberto Guicciardini Roberto Lerici Sergio Liberovici Emanuele Luzzati Franco Nonnis Franco Quadri Carlo Quartucci Luca Ronconi Giuliano Scabia Aldo Trionfo