La lingua della violenza

Nel gioco violento del linguaggio ironico e spiazzante risiede una qualità straordinaria: quella di stimolare consapevolezza, far prendere coscienza, far incazzare e anche informare (la “CNN dei poveri” è stato definito il tam-tam dell’hip hop durante la rivolta di Los Angeles), attivare lo spirito critico senza mai abbandonare la dinamica del gioco, del ritmo, del piacere di partecipare. È un valore che rimette in campo quella domanda di microritualità che ci siamo persi per strada e che nel futuro sempre più digitale potrà, forse, esprimere un’opportunità di compensazione, immettendo nel freddo mediatico il caldo dello scambio d’intensità turbolenta. L’hip hop, quel recitar-cantando della contemporaneità, ben definito anche il “furore del dire” riesce ad esprimere queste dinamiche come poche altre forme di comunicazione, arrivando a far fondere insieme linguaggi e comportamenti e anche, straordinariamente, i moti centrifughi delle mode globali e le appartenenze di comunità che danno così voce alla loro dimensione locale. È un dare forma all’informale quindi, trovando quel coefficente di sensibilità che sappia attingere a quella fonte di energia che i nostri corpi e le nostre menti all’interno della società mediata (non solo dai media ma dai comportamenti inerti e indotti dal senso comune) tende a non utilizzare. È questo il lavoro che oltre che nell’espressione musicale trova luogo in quelle pratiche teatrali che sanno mettere in gioco le energie comunicative. È da qui che è possibile ripercorrere una strada che da Artaud (figura di riferimento, con Nietzsche, dell’intero pensiero dell’alterità) ci può condurre a molte di quelle esperienze di un teatro che cerca, nomade, le opportunità dello scambio d’intensità. Il teatro può espandere infatti quel principio di condivisione che nella vita quotidiana non sempre è facile alimentare: partecipiamo al gioco della rappresentazione creando una visione, e, tendenzialmente, un pensiero, in quanto spettatori che condividono lo stesso spazio-tempo extra-ordinario. Un’occasione come quella offerta dallo spettacolo “Acido Fenico” può diventare così il detonatore di una problematica insidiosa come quella dell’alterità giovanile, e in particolare il caso limite dell’”educazione sentimentale” di un piccolo malavitoso, per farci riflettere e condividere una riflessione intorno a quei rituali, comportamenti, linguaggi che si misurano con una violenza che va oltre l’aspetto del disagio e della patologia sociale. Il fatto poi che in quello spettacolo la funzione del coro (secondo il principio fondativo della tragedia greca) venga espressa da una delle “posse” più rappresentative dell’hip hop italiano, rilancia il gioco, toccando il tasto sul valore di un codice proprio, la voce di una condizione giovanile che possiede delle proprie “lingue” e che nel caso dei Sud Sound System sa coniugare il dialetto salentino delle tradizioni locali con il ragamuffin e i ritmi dub della musicalità tribale globale. Nel “furore del dire” e nell’uso delle parole come proiettili, reificate, giocate nell’agone musicale è possibile così intravedere una via di salvezza.
Chi ha detto “il rock’n roll m’ha salvato la vita”? Credo Wim Wenders.
Il rock, il punk e oggi il rap sanno infatti scandire il tempo della radicalità comportamentale di nuova generazione che sa trattare con la violenza, esorcizzandola, narrandola anche, come in certi canti popolari che sapevano evocare il senso del conflitto tra marginalità sociale e redenzione rivoluzionaria. Con il tramonto delle ideologie la rabbia e la marginalità rimangono senza sbocco e la violenza rimane “celibe”, fine a se stessa, senza motivo, generata spesso dalla noia, l’apatia inerte, l’estremo non rispetto dell’altro, pericolosissima, incontrollabile. Parlare della violenza, dare parole nette alle cose più lorde, può servire quindi per porre in luce alcune di quelle zone oscure che in questo modo, cantandole, scrivendole, mettendole in scena, parlandole, navigandole nel web, possono, forse, emanciparsi dal male o perlomeno da quella degenerazione che spesso lo esprime per inerzia.